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lunedì 11 luglio 2011

Poesia scritta da Roberto Lerici per Gigi Proietti nel 1978


Quest’amore, quest’amore, quest’amore.
Quest’amore malato, denutrito,
fatto di parole smozzicate;
quest’amore usato, digerito,
buttato in pasto al popolo ignorante,
come fosse una cosa interessante;
quest’amore corrotto dalla noia
dei grandi amatori della storia,
masticato da cento letterati,
vomitato da principi prelati;
quest’amore che accoglie, che perdona,
fatto per gente dalla bocca buona,

è un amore di fradicia letizia,
che assolve tutto, pure l’ingiustizia;

quest’amore sciancato, deficiente,
sbattuto sulla faccia della gente
come l’osso al cane disperato;

quest’amore scarnito, rosicchiato,
coi suoi stracci di corpo denudato;
quest’amore di cui si parla, tanto
celebrato con tutte le grancasse,
quest’amore è disceso tra le masse,

elargito per grazia del potere
perché tutti ne possano godere.

È un amore deforme, malandato,
generato dal vecchio capitale,
fra le cosce del mondo occidentale.

Per quest’amore è meglio non cantare,
perchè non c’è una musica che tenga
e questa mia canzone sgangherata
non so nemmeno cosa la sostenga.

Avessi almeno la grazia più scollata,
di una puttana sola, disperata,
piuttosto che la facile mania,
il fascino merdoso, di questa borghesia.

Ma quell’amore che era una certezza,
s’è assopito con l’ultima carezza,
ha piegato pian piano le sue foglie,
rinunciando, per ora, alle sue voglie.

L’anima mia per questo s’è ammalata,
non sogna più e resta addormentata.

Prima che il vuoto tutti ci divori,
che venga, venga presto,
il tempo in cui ci si innamori.

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